È il principale "nemico" dei clienti (anche se non dovrebbe) ma il miglior amico dei bar: parliamo del ghiaccio. Ai non addetti del settore può sembrare effettivamente un ingombro, molti pensano sia addirittura un espediente per allungare la bevanda e risparmiare sui prodotti.
Non è così però: il ghiaccio è un ingrediente fondamentale per i cocktail bar, uno dei più importanti che ci siano. Il ghiaccio per i bartender è come il fuoco per gli chef: imprescindibile. Si può bluffare sui distillati e sugli zuccheri ma per il ghiaccio non esistono scappatoie.
Il compito del ghiaccio è quello di mantenere il drink alla giusta temperatura e di conferirgli il giusto grado di diluizione. Nessuno vieta al cliente di chiedere un drink senza ghiaccio ma è importante capire che questo influisce negativamente sulla resa del drink. Vediamo insieme tutte le tipologie e perché è tanto importante.
La storia del ghiaccio nei cocktail
Oggi questa associazione ci sembra scontata ma in realtà non tutto è sempre stato così chiaro fin dall'inizio nel mondo degli alcolici. La storia del ghiaccio nei drink è molto più complessa di quanto uno non si immagini.Usiamo l'acqua congelata per refrigerare alimenti e bevande da tempo immemore. Già Greci e Romani raccoglievano il prodotto sulle montagne e lo conservavano in delle ghiacciaie. Alcuni prodotti tipici della nostra nazione vengono proprio da questa conoscenza: il gelato artigianale, la granita siciliana, perfino la limonata a cosce aperte che sfrutta tutt'oggi i "frigoriferi" sotterranei ideati nella Magna Grecia.
Da sempre usiamo il ghiaccio come conservante per gli alimenti ma in realtà già i ricchi aristocratici Romani lo adoperano per rinfrescare le proprie bevande. Curiosamente però questa usanza resta confinata a Roma e non si diffonde fino al 1800. Perché tutto questo? Perché l'epicentro d'Europa, con la caduta dell'Impero Romano, si sposta dal Sud al Nord Europa.
In Russia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Austria, tutte le bevande alcoliche sono un modo per scaldarsi, il ghiaccio non solo è inutile ma addirittura dannoso. Un esempio pratico: l'assonanza della birra in Italia è con la parola "ghiacciata"; tutte le pubblicità fanno vedere perfino la patina gelata attorno alla bottiglia, ma in realtà la bevanda non è fatta per queste temperature. In Inghilterra, Scozia e Irlanda la birra si serve intorno ai 10-12 °C, ovvero la loro "temperatura ambiente".Il ghiaccio nelle bevande arriva grazie a un uomo: Frederic Tudor, noto poi come "Ice King". Questo imprenditore nasce nel 1783 a Boston e sfrutta i ricchi possedimenti di famiglia per trasportare enormi blocchi di ghiaccio provenienti dai laghi settentrionali verso gli Stati confederati e i Caraibi. È davvero convinto di poter fare questa impresa e nel 1806 acquista una nave da 5 mila dollari e trasporta tutto il carico di ghiaccio estratto nella fattoria di famiglia fino in Martinica per cercare di creare un monopolio. Il piano fallisce miseramente: il primo carico si scioglie, il secondo arriva più integro ma non riesce a venderlo.
Tudor non si dà per vinto e cerca in tutti i modi di convincere i caraibici a bere le proprie bevande con l'aggiunta di ghiaccio, perché sono più buone. Un'opera di convincimento durata anni, costosissima. Cerca di creare la domanda con ardite campagne marketing: offre gratuitamente il ghiaccio nel barincoraggia i baristi a servire le bevande col ghiaccio allo stesso prezzo di quelle senza (in America sarebbero costate il doppio). Con tanta pazienza l'idea funziona e Tudor crea finalmente una domanda dove prima non c'era. L'impresa è comunque ardua e l'inizio è disastroso: le difficoltà di trasporto e la poca richiesta lo riempiono di debiti, passa lunghi periodi in prigione o a nascondersi dai creditori.
Nonostante tutto crede nella sua idea e passettino dopo passettino rende questa impresa molto profittevole. Tudor dà inizio a quella che gli storici avrebbero poi chiamato "tratta del ghiaccio", sviluppatasi tra gli Stati Uniti del Nord, la Norvegia e i Paesi dei tropici. Crea delle ghiacciaie lungo il percorso, fino a stanziarle direttamente in Martinica, corrompe tutte le autorità del posto così da assicurarsi il monopolio e amplia la propria flotta sfruttando la manodopera locale.
La tratta del ghiaccio – apoteosi del capitalismo a stelle e strisce – rende Tudor un magnate a livello mondiale entro il 1850: spedisce ghiaccio perfino in India. Il business è talmente ampio che Tudor tiene il monopolio solo verso i Caraibi: ricchi uomini d'affari entrano nel mercato europeo e americano, rendendo quello del ghiaccio uno dei settori industriali più importanti del mondo. Nell'Ottocento dà lavoro a circa 100 mila persone ed è uno dei principali traini dell'economia americana fino alla metà del 1900.
La fine di questa era è segnata proprio da un altro ricchissimo imprenditore: Thaddeus Lowe, un inventore famosissimo in America per essere stato uno dei più importanti inventori della nazione. Pioniere dell'aviazione in una famiglia di pionieri, ideatore di tantissimi processi chimici riguardanti il raffreddamento che ancora oggi usiamo: è l‘inventore della prima macchina del ghiaccio.
Solo i grandi alberghi, prima a Roma e poi a Firenze e Venezia, intuiscono la direzione intrapresa da questa remunerativa industria e introducono anche in Italia lo stile dell'american bar che porta le ricette dei cocktail americani, e con loro l’abitudine di riempirli di cubetti di ghiaccio.
A che serve il ghiaccio nei cocktail?
La risposta più banale a questa domanda sarebbe "perché raffredda e quindi il cocktail è più beverino". Non sarebbe una risposta sbagliata ma sarebbe troppo semplicistica.Il ghiaccio serve a raffreddare e diluire il drink. Sembrano due processi distinti ma sono strettamente collegati: pensiamo che il ghiaccio raffreddi perché ha una bassa temperatura ma la situazione è molto più complicata di così.
È una questione di termodinamica, la branca della fisica e della chimica che studia e descrive le trasformazioni indotte da calore. Come si legge sul libro Miscelare "lo studio del ghiaccio ci fa capire che non esiste raffreddamento senza diluizione".
Diluire il drink limita l'impatto del nostro palato con l'alcol, che in dosi massicce può essere sgradevole se bevuto caldo. Immagina di bere un Mojito a temperatura ambiente: ti fermeresti al primo sorso. Quando il cocktail è raffreddato e diluito il volume alcolico scende al di sotto dei 20% vol e la temperatura bassa leviga le sensazioni di pseudocalore che abbiamo in gola.
Bada bene: la quantità di alcol è la stessa da freddo e da caldo ma la morsa è notevolmente ridotta grazie alla termodinamica, rendendo il drink più piacevole.
I falsi miti del ghiaccio nei cocktail
Tipologie di ghiaccio che puoi trovare al bar
A prescindere dalla tipologia, il ghiaccio deve avere alcune caratteristiche imprescindibili. Su tutte c'è la trasparenza: più il ghiaccio è limpido, più l'acqua utilizzata è buona. Un ghiaccio opaco ha delle impurità e questo può influenzare negativamente la qualità.
La forma del ghiaccio è poi fondamentale perché a seconda della tipologia, il ghiaccio diluisce le bevande e le raffredda a velocità diverse. La forma scelta dal bartender non deve essere influenzata dal proprio gusto ma dalla ricetta che vuole preparare. A parità di volume, ad esempio, il rapporto tra superficie e volume di una sfera è inferiore a quello di un cubo della stessa dimensione, facendo sciogliere la sfera più velocemente.
Ogni bartender deve conoscere la tipologia di drink che vuole fare e comportarsi di conseguenza.
Per i drink shakerati, ad esempio, servono cubetti che non si sciolgano troppo perché devono riempire per tre quarti lo shaker e vanno agitati finché non si sente il freddo tra le mani. Importante anche per il raffreddamento del bicchiere. Questo passaggio è fondamentale: se lo saltassimo vedremmo uno shock termico che altererebbe il gusto.
Discorso diverso per i drink on the rocks: necessitano di un ghiaccio duro per mantenere la temperatura bassa e costante.
Per i cocktail pestati invece è importante avere un ghiaccio più morbido e secco che sia più facile da frantumare.
A cura di Leonardo Ciccarelli per Cookist.it